La prevaricazione pressante, il senso di claustrofobia che, le figure più o meno note del fascismo e dell’autoritarismo, compongono nei tasseli della quotidianità, sono diversificate. Sicuramente una delle più temute nonchè perpecite risulta l’aggressione fisica dove, all’esterno di ogni possibile e ipotetico dialogo, si contrappone la forza come elemento legittimante. Tuttavia a marcare il territorio, troppo spesso, sono altre modalità. La violenza non si presenta e non si rappresenta solo con la fisicità, ma all’opposto con azioni concrete ma pur astratte di quella “pisciata di cane” che marca il territorio. Così ci si trova con la città infestata di adesivi o manifesti di CasaPound, Forza Nuova o mille altre associazioni, azioni che segnano la presenza prevaricatrice di un determinato gruppo sociale. Azioni che si accompagnano con elementi decisamente più pericolosi di simbologia puramente nazifascista. La svastica a fianco di un luogo notoriamente opposto (per logiche di socialità, movimento, attivismo, interesse) ai propri si pone cosi come aggressione, prevaricazione violenta per imporre la propria presenza, far capire che si è presenti e, quindi, potentemente concreti. Questo può poi arrivare alla bomba, non ad un luogo semplicemente da birra, ma un luogo di cultura, come successo a Freedom Bookshop, un vecchissima libreria anarchica di Londra, in cui nessuno è rimasto ferito ma in cui tutti subiscono una perdita. Non si tratta di una semplice provocazione, come può essere la bomba durante la notte in un locale “di sinistra”. La devastazione degli archivi, delle librerie, delle biblioteche, dei centri di Cultura sono azioni fin troppo ricorrenti in spazio di guerra e guerriglia. Trasportare questi scenari nella quotidianità di un conflitto urbano significa alzare il livello ma, oltre a tutto questo, rifiutare la cultura, una determinata cultura che si contrappone con pervicace ostentazione nella diffusione di idee, sapere critico e istanze di alterità opposte a quelle aggressive, simboliche o meno, della presenza fascista, significa mostrare il volto non legittimato, quello vero. Il volto che oltre all’acqua e sapone democratico ritorna ai primordi della nascita fascista, dove ad essere attaccata era la sede di un giornale socialista, non un luogo a caso, ma un simbolo ben preciso. Rifiutare e combattere ogni forma di prevaricazione simbolica, per evitare che l’adesivo di oggi divenga la svastica, e poi magari gli sguardi, l’inserimento del timore, la paura, la distruzione dell’azione e la distruzione della cultura.
Un/Il Laboratorio: un “magazzino” di idee (tra giocoleria, musica, murales, cicloofficina) si è ritrovato una bella “firma non firmata” dopo aver cancellato (firmandosi con il proprio simbolo) le svastiche in giro per il paese
Il freedom bookshop dopo la bomba