Un testo in forma di lettera indirizzata ad un bambino che si trova il dito sporco di inchiostro, ma non per gioco: «una macchia che non è solo quella del tuo dito, è sul tuo volto, sulla tua anima. E’ la macchia della razza».
Pubblicato per la prima volta nel 2009 per Ponte alle Grazie, Eleuthèra ripropone quest’anno un libro di Marco Aime, tremendamente attuale, che ci pone di fronte alle tante contraddizioni che la politica della paura, della tolleranza zero pone sul tavolo. E’ la macchia della razza! Nessuno è razzista, «non è nel nostro DNA», dice Maroni. E si che «non è facile essere razzisti, negando di esserlo», ma lui ci è riuscito. Una lettera che è un grido di rabbia nei confronti di una società contraddittoria, capace di cancellare la propria memoria, finendo così ad usare le stesse discriminazioni che un tempo furono per gli italiani. Un tempo nemmeno troppo distante, se poi si pensa a quel piatto di spaghetti con un pistola sopra, finito in copertina di un noto settimanale tedesco, a cui, però, ci si è ribellati.
Marco Aime, antropologo vissuto, scrive dunque una lettera piena di passione, una riflessione feroce sull’ipocrisia di chi si rifugia nella paura di un bersaglio debole e facile da identificare, su chi usa questa paura per dei voti perché, se “i calabresi”,”i siciliani” che finivano nei titoli negli anni Sessanta potevano votare, oggi i “senegalesi”, gli “albanesi” etc. non possono e quindi sono soggetti che si possono colpire.
Aime, ci mostra la nostra violenza, quella che non è mai “razzismo”, quelle aggressioni, come Nicola Tommasoli a Verona nel 2008, che non sono “politiche”, sono aggressioni di qualche balordo, verso cui non si invoca mai la tolleranza zero. Non troveremo mai dei titoli di giornale che recitano:
“Maniaco padano violenta una minorenne marocchina”
“E’ nell’indole degli adolescenti siciliani uccidere e violentare”
Ragazzi veronesi delinquenti per cultura
“Coppie di Erba propense a uccidere i vicini di casa”
L’unica cosa che troviamo è la nostra paura, che crea degli spettri fittizi, a cui è facile aggrapparsi e su cui è facile accanirsi.