Ovvero.
Come mettere la camicia nera alla narrativa
Il 20 gennaio 2003 a Pavia alcuni attivisti del Centro Sociale Barattolo vengono aggrediti da militanti di Forza Nuova incontrati al cinema.
Il film che veniva proiettato in quell’occasione era il Signore degli Anelli.
Che cosa può portare dei picchiatori neofascisti alla proiezione del film tratto dall’omonima opera di Tolkien?
Per capirlo dobbiamo andare a guardare nel passato della destra italiana.
Giugno 1977, nel pieno delle mobilitazioni operaie e studentesche, del conflitto sociale generalizzato, dell’onda lunga e montante del ’68: il neofascismo italiano è rappresentato innanzitutto dal Movimento Sociale Italiano (MSI), casa madre da cui si muovono tutte le anime dell’estrema destra.
Tra queste si distingue una componente di base “movimentista” (che cerca di imitare scimmiescamente la sinistra extraparlamentare) che finisce per uscire dal MSI in rottura con il padre-padrone Almirante e dare vita a vari gruppi (Ordine Nuovo, Terza Posizione, etc.).
È da quest’area che nascono i Campi Hobbit, che mischiano il “tradizionale” aspetto paramilitare a iniziative “controculturali” su modello della Nuova Sinistra (non a caso si parlerà di Nuova Destra).
Fra i gruppi che suonano a questi raduni, fra gli altri, ne troviamo uno che si chiama “La Compagnia dell’Anello”.
Proprio in quelli anni il Signore degli Anelli (che da adesso per semplicità citeremo con l’abbreviativo SdA) di Tolkien viene infatti tradotto in italiano per i tipi dell’editore Rusconi, un conservatore, con un direttore responsabile di destra, Alfredo Cattabiani, con curatori di destra, come Quirino Principe, e una prefazione di un transfugo della sinistra quale Elémire Zolla.
Se ‘tradurre’ significa anche ‘tradire’, in questo caso la traduzione è stata completa.
I traduttori/traditori italiani di Tolkien adoperano una strategia di cui era maestro Julius Evola, indiscusso riferimento teorico del neofascismo: nell’introdurre un autore in Italia, costruire attorno ad esso un proprio discorso – un’impalcatura ideologica diciamo – approfittando del fatto che esso non è conosciuto diversamente.
Il caso di Tolkien rende l’idea di questo modo di agire della destra e dei suoi principali strumenti: la lettura simbolista, la decontestualizzazione e l’elisione.
Significano in buona sostanza: vedere ciò che interessa, ignorare quello che non si vuole vedere, eliminare quello che non si può ignorare.
Alla base della lettura simbolista c’è l’idea che nel testo siano rintracciabili elementi simbolici con un significato esoterico (cioè “accessibile a pochi”) che prescinde dal contesto e a volte anche dall’intenzione dell’autore che ne può fare un uso inconsapevole.
Simboli non storicizzabili, in quanto non riferibili a delle “tradizioni” ma bensì alla “Tradizione” e pertanto riconoscibili solo da un’élite di persone “spiritualmente superiori” (questo in linea col razzismo spirituale predicato da Evola, contrapposto al razzismo biologico nazista: non vi sono razze superiori ma solamente persone superiori a tutte le altre).
Ma nella loro operazione di appropriazione di Tolkien, i curatori si trovarono a dover rimuovere una forte contraddizione: mentre loro, in linea con il pensiero di Evola, davano al testo una lettura neopagana, il SdA è “fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica” come scrive lo stesso Tolkien in una lettera.
Tale orientamento viene esplicitato in un passaggio, quando Gandalf rimbrotta Teoden lo esorta a non comportarsi come i “re pagani”.
Dato che le vicende fantastiche del SdA si collocano in un epoca di gran lunga precedente all’avvento di Cristo, un simile aggettivo non avrebbe in quel contesto alcun significato se non quello di ribadire l’orientamento di fondo dell’opera.
Per questo motivo i traduttori/traditori di Tolkien omettono l’aggettivo, che sarebbe risultato quantomeno imbarazzante per la connotazione neopagana che attribuivano all’opera e che rispecchiava il loro orientamento politico.
Inoltre il messaggio del cattolico Tolkien, che pure in politica si poteva definire un conservatore (si espresse in una disputa con l’amico C.S. Lewis – l’autore delle Cronache di Narnia – a favore del regime franchista in Spagna, inorridito dalle persecuzioni anticlericali ad opera delle forze repubblicane) conteneva elementi inconciliabili con il pensiero di destra.
Il perdono e la redenzione sono tematiche cristiane che ritroviamo nel rapporto fra Frodo e Gollum (è il perdono che cambia Gollum e lo porta, con il suo sacrificio finale a distruggere l’anello).
Sopratutto la trilogia è attraversata da un sconfessione dell’ideale guerriero “della bella morte”.
Tema questo trasversale a tutta la destra, al punto da ritrovarlo sia nel motto del Tercio spagnolo [il movimento paramilitare fascista di Francisco Franco] “Viva la muerte!” e nel canto, dall’emblematico titolo “Il fidanzato della Morte” (Sono un fidanzato della morte/ che va unirsi con forte laccio/ a questa leale compagna), sia in una canzone della Guardia di Ferro [milizia fascista ungherese] pervasa da un’autentica frenesia canora necrofila (La morte, soltanto la morte, legionari/ è un lieto sposalizio per noi/ i legionari muoiono cantando/ legionari cantano morendo).
Un episodio del SdA che i cultori di destra volutamente travisano è quello della furia di Èomer, che per vendicare la morte della sorella (che sotto panni maschili si era unita all’esercito di Rohan), decide di partire contro le fila nemiche cercando la morte.
Enrico Bassano lo definisce “uno slancio distruttivo e nichilistico” e lo inquadra positivamente come un esempio di quanto gli abitanti della Terra di Mezzo sono disposti a dare per la propria libertà.
Peccato che Èoywn non sia affatto morta e il sacrificio di Èomer sarebbe inutile: nel racconto non si tratta di un esempio da seguire, ma piuttosto di quello che succede quando nel momento del bisogno si perde la testa.
La stessa Èoywn parte per la guerra intenzionata a trovarvi la morte e quell’onore che in una società patriarcale le è precluso, ma alla fine abbandona questo proposito e affronta il capo dei Nazgul con freddezza (senza smanie canterine necrofile).
Ritroviamo maggiormente l’ideale guerriero nella trasposizione cinematografica hollywoodiana (sull’eroismo hollywoodiano, anche solo quello più recente, ce ne sarebbe da dire), che in questo e in altri aspetti si discosta dal libro.
Se da un lato dunque l’opera di Tolkien contiene elementi (un mondo perduto, dominato da una casta guerriera, spade, battaglie, etc.) che, presi a sé stanti e decontestualizzati, predispongono i lettori in camicia nera al genere fantasy (ricordiamo bene come Gianluca Casseri, responsabile dell’omicidio di due ragazzi senegalesi a Firenze, fosse un dozzinale scrittore fantasy e al tempo stesso come Iannone abbia in un occasione citato il ciclo arturiano ai suoi), dall’altro bisogna riconoscere però che gli immaginari vivono anche una vita propria, in grado di essere legata ai contenuti più diversi.
Il SdA divenne negli anni ’60 un simbolo della contestazione studentesca negli atenei statunitensi (dove comparirono slogan come “Gandalf presidente” e “Frodo vive” ) e del nascente movimento ecologista, tutt’altra cosa rispetto al “nazional-ecologismo” portato avanti da Casa Pound attraverso il sotto-marchio “La Foresta che Avanza” (che nel suo nome contiene un riferimento agli Ent tolkeniani, i pastori di alberi che hanno forma di alberi con tratti antropomorfi, a loro volta ispirati al Machbeth di Shakespeare).
E fu sempre la forte critica alla società industriale che colpì i giovani lettori italiani di Tolkien degli Anni ’80, periodo in cui sorse anche in Italia un movimento ecologista.
Il conflitto fra industrializzazione, rappresentata dagli orchi e le loro fucine a Isengard e Mordor, e natura non si riduce in Tolkien in un primitivismo o in una sorta di “socialismo feudale”
La Contea, realtà rurale per eccellenza, non viene proposta come un’isola felice (non del tutto per lo meno).
Bilbo – protagonista del “Lo Hobbit”, romanzo che introduce il mondo e i personaggi del SdA – lascia la Contea (alla fine per sempre) e abbandona anche la sua mentalità provinciale, tant’è che quando, ritornato lì, si rende conto di aver perso la propria rispettabilità (per le frequentazioni con degli autentici “extracomunitari” quali stregoni, nani ed elfi), non se ne dispiace poi così tanto.
Le piccole meschinità di un ambiente rurale sono magistralmente descritte nei rapporti fra Bilbo e i parenti (che desiderano impossessarsi dei suoi beni), così come nel ritorno di Frodo, Sam, Meriadoc e Pipino, quando trovano la Contea in mano a Sauroman, che aveva fatto leva proprio sulle avidità e gli egoismi di alcuni hobbit.
Non è pertanto automatico che un genere letterario come il fantasy divenga o fuga dalla realtà (anche perché ogni finzione si nutre necessariamente di realtà) o veicolo di valori tradizionalisti e quindi carburante mitopoietico a disposizione dei vari gruppuscoli neofascisti, ma anzi può essere attraversato come critica della realtà e in ciò forma embrionale di conflitto.
Murales realizzato da Blu, sulla facciata dello storico centro sociale bolognese Xm24: i personaggi tolkeniani sono reinterpretati inserendoli nella realtà del movimento antagonista bolognese
Fonti: sitografia e bibliografia.
Per approfondire l’argomento consigliamo i podcast di un incontro a cui sono intervenuti Wu Ming 4 (del collettivo di scrittura Wu Ming) e Roberto Arduini della Società Tolkeniana Italiana, a cui questo articolo deve quasi tutto: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=3423
Segnaliamo anche alcuni articoli apparsi su Giap, il blog dei Wu Ming, riguardanti Tolkien.
Sull’ideale dell’eroismo nordico http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=2076.
Su come l’opera di Tolkien sia ancora conosciuta con approssimazione e una buona dose di provincialismo in Italia http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=11054.
Sulle divisioni di classe nel mondo della Terra di Mezzo http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=7264.
Un altro sito di “cultura di opposizione” che si è occupato spesso e volentieri del Signore degli Anelli e del suo autore è Carmilla: http://www.carmillaonline.com/archives/2010/01/003302.html#003302
Per capire nello specifico i concetti di Tradizione e Simbolismo, nonché l’importanza di Evola all’interno del neofascismo è una lettura imprescindibile il già citato “Cultura di destra” di Furio Jesi ma si possono vedere anche i seguenti contributi:
Franco Ferraresi, Da Evola a Freda. Le dottrine della Destra Radicale fino al 1977, in F. Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Giangiacomo Feltrinelli editore, 1984, pp. 13-53;
Id., Minacce alla democrazia, Milano, Giangiacomo Feltrinelli editore, 1995, pp. 61-103;
A. Ventura, Per una storia del terrorismo italiano, Roma, Donzelli, 2010, pp. 117-135.