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Il pugno bianco di Trump

L’immagine non proviene dalle patrie galere ma rimbalza comunque sui nostri schermi, e il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America è riuscito a inserirlo anche nel proprio discorso inaugurale.

Si tratta del ben noto pugno bianco, ripreso dal movimento politico White Power negli anni ’80 del novecento.

L’origine del pugno chiuso viene dal dadaista John Heartfield, che nel 1924 riuscì a trasformare un’espressione naturale di collera in una “forma simbolica fissa” , introdotta poco dopo dalla Rfkb (Roter Frontkämpferbund) come saluto d’ordinanza, nei movimenti della sinistra rivoluzionaria. Il pugno chiuso rappresenta l’unione dei lavoratori (fragili se divisi, come le dita di una mano) in grado di spezzare l’opposto saluto fascista: aperto, piatto e rigido.

Ancora coerente nel suo significato (come forma di lotta degli oppressi), viene adottato anche dall’organizzazione Black Power negli anni ’60 (il pugno chiuso a capo chino) e passerà solo vent’anni dopo ad uso e consumo del White Power come simbolo completamente stravolto.

Il simbolo in mano ai suprematisti bianchi non indica la lotta degli sfruttati, degli oppressi, degli ultimi o i marginali. È un simbolo di odio razziale e di violento revanscismo macista.

Probabile suggerimento del consulente antisemita Steve Bannon, il pugno di Trump non è quindi rivolto agli sfruttati ma ai bianchi, di qualsiasi classe e ceto.

È un pugno che grida vendetta per un’improbabile ingiustizia subita, mentre addita come razzisti quei “progressisti” che hanno svalutato la pelle bianca all’interno del mercato globale.

È un elemento di anti-anti-razzismo dal momento in cui non rivendica apertamente il proprio inconfondibile razzismo ma, in maniera viscida, suggerisce che la popolazione di pelle bianca (esclusa ovviamente quella ebraica) stia subendo un torto spettacolare e che, una volta eliminata la controparte cromatica (messicani, neri e quant’altro), ogni malefico piano d’invasione possa essere dimenticato. Solo a quel punto i bianchi potranno tornare a godere dei sani frutti del libero mercato.

Lo ha detto il Presidente Trump: il potere è ora nelle mani del popolo fin tanto che ricorda di comprare americano e assumere americani! La nuova agenda presidenziale non parla invece di sfruttamento della mano d’opera straniera o di delocalizzazione.

Se le parole di Trump indicano il “sangue dei patrioti” come indipendente dal colore della pelle, il suo pugno suprematista ricorda ai suoi elettori più feroci dove è diretta l’agenda presidenziale.

Il pugno in pugno

Lo strano saluto del neonazi Anders Bhering Breivik, cartuccia esplosa troppo presto in Norvegia, riconduce al diffuso e rapito elemento del pugno nella simbologia politica di sinistra.
Il saluto a pugno chiuso é simbolo plastico d’intimidazione creato nel 1924 dal dadaista John Heartfield come saluto d’ordinanza che, nei movimenti della sinistra rivoluzionaria, rappresenta l’unione dei lavoratori (fragili se divisi, come le dita di una mano) in grado di spezzare l’opposto saluto fascista. Negli anni a venire sarà diffuso come formula di riconoscimento e rivendicazione di lotta degli oppressi e, se adottato anche dal Black power negli anni ’60 (il pugno chiuso a capo chino), passerà anni più tardi ad uso e consumo del White power come simbolo camuffo per l’egemonia della razza bianca. Breivik, da buon identitario, non riconoscerà mai il tributo tramite il quale omaggia il movimento dei lavoratori e degli oppressi proprio perchè, da scimmione fascista, pensa che ogni cosa sia scaturigine di un’unica Tradizione direttamente connessa al suo eterno spirito.
Breivik usa il metodo Stanislavskij: imita per confondere, ma anche imita e si confonde.  Teatrino divelto.