La scopa, già simbolo del rexismo, viene adottata dalla Lega Nord come dal Front National francese. Il gruppo di studio Action30 sottoliena infatti come: i maschi-soldato fascisti sono donne delle pulizie ossessionate dall’incubo dell’umido e dell’informe, che ai loro occhi si manifesta come stato di cose purulento e sifilico. Da qui l’accusa all’omosessualità, alla liquidità femminile, al polimorfismo dei folli, dei neri e degli ebrei. L’uso di questa immagine simbolica nel leghismo padano non è certo priva d’innocenza, l’efficacia della pulizia, interna e incorrotta, richiama l’idea di una purezza rigida, una corazza secca con cui imporsi sui corpi altrui, sulla marea rossa della corruzione.
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Femminismo fascista
Si può percepire il discorso «femminile» del neofascismo come passo obbligato di fronte al «discorso femminista» sviluppatosi negli anni ’60. Rivelandosi buon costume per propagandare al genere più escluso dal fascismo alcuni stralci dell’ideale di sansepolcrista memoria, al femminismo e la sua esasperata ricerca di «un’autodeterminazione dissoluta del proprio corpo», le donne fasciste oppongono i «veri valori della femminilità»: ovvero l’antico ruolo della donna, «padrona del focolare» e punto nevralgico del nucleo familiare. Nella foto la donna-oggetto e la donna-madre nella versione militante più alternativa: quella di Resistenza Femminile gruppo organico agli Autonomi Nazionalisti.
Carica dei Che – (1) Che verde lega
Da oggi inziamo a collezzionare il volto più noto della Rivoluzione cubana ad uso e consumo della destra identitaria.
Elemento già mitizzato nell’immaginifico socialista degli anni ’70 viene poi recuperato da gruppi come Terza Posizione per esprimere una tendenza favorevole ai processi di liberazione popolare dell’America latina in senso antimperialista. Quell’antimperialismo che, dietro al lavoro di mimesi, nasconde la tensione antiamericana in senso antisemita ed antiliberale propria dell’universo razzista, xnefobo, fascista e reazionario.
Oggi tocca al partito Lega Nord ed all’orribile Che Guevara tinto in verde, colore proprio (come specificheremo) del fascismo internazionale.
Ceinturemassacre
La droite identitaire française ha cercato di compensare il gap di pratiche e stilemi con la promozione di un nuovo tipo di «ballo»: la cinghiamattanza, nell’originale francese ceinturemassacre. «Atto d’amore» compiuto durante i concerti di musica oi! e nazi-punk nei centri sociali di destra (o nefandamente promosso fra i ragazzini nelle strade e nelle scuole) definito «danza macabra che si fa tra i camerati». È una chiara ripresa del più conosciuto pogo nato dall’esperienza della musica punk anni ’70. Nello spirito originale consiste nel prendersi a spintonate in una disarmonica, quanto caotica, danza catartica (il «pogo») al di fuori di qualsiasi primordo di danza. La cinghiamattanza prevede invece una semplice ed apparente degenerazione: i soggetti, a tempo di musica, si prendono a cinghiate (di cuoio) provocandosi spesso ferite di notevole entità. L’espediente fa parte di una strategia piuttosto meschina per forgiare una giovanissima generazione, non avvezza al diretto squadrismo, nella pratica di futuri blitz su obbiettivi sensibili. Una violenza irrazionalmente legata al vecchio mito del carattere e dell’addestramento, dimostrazione di ordine etico, che non riceve il suo valore finale se non dalla pubblicità che ne vien fatta. È il mito dell’uomo sano, vera lotta in un meccanismo di darwinismo sociale in cui scontrarsi e ferire significa riappropriarsi del proprio essere.
FN
In Europa la F e la N sono iniziali continuamente richiamate dai gruppi della destra profonda, basti pensare al Fronte Nazionale (1967) di Junio Valerio Borghese, o più tardi quello di Franco Freda (1990) e il Fronte Sociale Nazionale (1997) di Adriano Tilgher. In Europa il Front National (1972) di Jean-Marie Le Pen, il Front National (1985) del belga Daniel Féret, il National Front (1967) di A. K. Chesterton e molti altri ancora.
Sono riferimenti al Frente Nacional spagnolo del 1936 o, secondo alcune ipotesi, il riferimento va ricercato nelle iniziali dei due più famosi regimi nazi-fascisti.
Qui sopra un magnifico esempio dell’originale rielaborazione di una croce uncinata (ma anche di un dente di lupo) da parte del partito Forza Nuova di Roberto Fiore e Massimo Morsello.
Rosso è nero
Movimento Zero, così come altrettanti micro-movimenti della penisola, sfugge alla polarizzazione destra-sinistra forte di un contesto socio-politico che ha già pensato da sé ad eliminare la questione: da qui simbolico ed iniziative difficili da codificare.
Partendo dal simbolo: dalla falce e martello con daga e aquila prussiana in Italia si è passati, almeno per MZ, ad una freccia che chiude un cerchio. Un’apparente segno numerico riferito alla possibile tabula rasa dell’anno zero d’inizio millennio, ma il cui effettivo riferimento va invece cercato nel cerchio uroborico: il serpente che si mangia la coda, l’amata immagine del ciclico mitico, dell’Eterno Ritorno, di una temporalità pronta a ritornare sull’identico.
È così che anche i comunitaristi simulano il movimento del linguaggio mitologico, senza però coglierlo veramente appieno.
Ma sui nuovi comunitaristi di Massimo Fini avremo modo di tornare in sordina, senza troppa pubblicità al noto giornalista, per rilevare il nocciolo di mediocre rinnovamento di una destra identitaria che non ha mai voluto definirsi fascista.
A.C.A.B.
La scritta internazionale A.C.A.B. (All cops are bastards) viene risemantizzata nel suo doppio significato altrettanto internazionale All Communist are bastards. In questo senso prosegue il lavoro sotterraneo sulle tifoserie iniziato ancora negli anni ’80. La scritta in questione risulta quindi, in acronimo, simbolo d’unione fra le tifoserie di destra e sinistra unite dal comune odio verso la polizia ma con significato duplice solo per il mondo identitario.
Fascio
Nello scontare i caratteri più antichi del fascio littorio dei pretori (presente anche in alcune rappresentazioni medioevali della Giustizia in vece della più nota icona della spada) dall’etimologia del termine «fascio» prende forma il suo –ismo. Solo a regime consolidato il riferimento culturale è saldamente piegato sull’idea di forza e d’unità plebea che esprimeva il fascio di verghe dell’antica Roma.
La parola-simbolo è però inizialmente credito di quei gruppi politici radicali e social-rivoluzionari particolarmente attivi in Italia dal 1870. Nessuna declinazione particolare da parte dei primi fascisti: vuole essere riferita proprio ad una continuità con questi movimenti contadini e operai come il «Fascio della democrazia» di Andrea Costa, Giovanni Bovio e Felice Cavallotti nato nell’agosto 1883 per coordinare l’opposizione socialista-rivoluzionaria. L’apice di queste rivendicazioni contadine avvenne in Sicilia e culminò in sommosse ed azioni sovversive tra il 1894 e il 1895.
Ancora il «Fascio operaio», giornale del socialista Erminio Pescatori (con cui collaborava Costa), indicava un richiamo simbolico di Unità popolare. Tutt’oggi sui passaporti francesi possiamo percepirne un significato in linea con il valore emancipatorio dei moti sociali di unità popolare di quegli anni, valori antitetici all’immaginifico del movimento fascista.