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Animalisti senza idee

La promessa di superare le antiche barriere ideologiche non è certo naif, è piuttosto antidiluviana e infida.

I cosìdetti esperimenti “oltre” si rivelano, almeno qui nell’assolata, fuffe preistoriche capaci solo di assecondare i movimenti di stomaco di intere generazioni a digiuno di politica. La prospettiva del “nè destra nè sinistra” è quantomai strumentale ai fini dell’efficacia propagandistica di chi intende candidarsi contro la “casta”o di chi, a destra, cerca, da sempre, l’appianamento valoriale, il populismo becero e coatto che , mentre sbava contro il Nemico/Male, cerca l’eterna Identità/Razza.

Succede pure nel mondo animalista, anzi antispecista.

Marco Maurizi ben spiega il portato semantico della sfida antispecista introducendo una ponderata critica a certo tipo di identitarismo “di casa”. Basi critiche per poter affrontare le dinamiche pratiche e teoriche interne al movimento animalista, così come a quello antifascista oramai congestionato dal peso di una morale identitaria formata sulla somma di parti fra loro contraddittorie e ipertroifizzate. Il mancato assorbimento dell’attività critica di matrice linguistica da parte dei movimenti antfascisti è di fronte ai nostri occhi ogni giorno: mancano i saperi critici, mancano nuovi modi di comunicare alla generazioni più giovani, mancano pratiche efficaci per contrastare la marea bruna. L’antispecismo di Marco Maurizi va, felicemente, in direzione contraria.

Ciò non ha nulla a che fare con gli interventi reazionari e finto novisti di certo pragmatismo liberal-animalista, che formula la propria critica forzando l’interpretazione del lessema “antispecista” (un guazzabuglio di apoliticità vs politichese e riduzione dell’antispecismo a sinonimo di animalismo). Questo è l’antispecismo debole ma filofascista che parte “dai più deboli in assoluto” e smette “di litigare per cazzate”. Formula già sentita nel richiamo all’uniamoci per la Rivoluzione! il resto lo risolviamo poi…si scollega dalla realta un tema specifico (animalismo)  con la pretesa di creare del nuovo. “Basta e avanza l’angoscia per la liberazione del mondo animale” per sfondare un sistema vita basato sul rispetto dell’Altro e riaprire la strada a quel processo di sacralizzazione della Natura che strizza l’occhio al paganesimo animista piuttosto che ad un effettivo processo di liberazione animale. Quello che piaceva all’esoterismo nazista, per intendersi. Hitler era vegetariano e chissene se bruciava uomini, donne e bambini nei forni. Solo gli animali contano.

Insomma la destra estrema, con complici gli utili idioti novisti sedicenti liberi, ricerca legittimità fra le fila della lotta di liberazione, in questo caso animale. Ci sono gli antivivisezionisti dell’Autonomia Nazionale e i 100% animalisti accompagnati dal Partito Animalista Europeo, partito forte dello stesso slogan qualunquista e adatto ad ogni situazione: in giallo con gli amici ecologisti, in nero con gli affini fascio-pagani.

100% animalari

Riprendiamo una nota leggera per ricordare l’invadente presenza dell’ecofascismo in campo animalista. Il nostro compito riguarda difatti anche la capacità di archiviare, rendere coerente un percorso genealogico e di sintesi della zona bruna.

100% animalisti è un’organizzazione ispirata all’ecofascismo (legato a Paolo Mocavero), nata nel 2003, tra i più efficaci esperimenti parafascisti: ricuce infatti, sotto lo slogan qualunquista dell’antipolitica, razzisti nazifascisti e cittadini comuni legati alla filosofia antispecista.

La simbolica si adatta bene al percorso padovano (ove si ramifica il movimento) scivolando fra l’immaginario piratesco dei centri sociali del nord-est e il colore nero prelevato, dai fascisti più in generale, all’anarchismo.

Traditi solo dal concetto di Unica Cultura (volontà egemonizzante rivolta agli altri gruppi animalisti più che all’opinione pubblica) si promettono dunque come “apolitici” e difensori delle “minoranze” secondo una prospettiva, di hitleriana memoria, secondo cui il concetto di Natura assume quel carico di sacralità proprio di una religione fanatica più che di un movimento di liberazione.

Per queste persone la liberazione animale va intesa come esperienza totale distaccata da qualsivoglia metodo di liberazione. Si tratta di una fede, un’incapacità di connettere la propria azione al ragionamento sulle conseguenze e i legami con altre sfere della vita (lotte sociali, lavoro, forme di consumo ecc. ecc.). Queste ultime appartengono al singolo, dicono loro. Scelte individuali che non devono attraversare il percorso comune che li unisce. Il totem animale sembra quindi l’unica immagine su cui concentrarsi.